Confindustria: “Transizione 4.0 si è ripagata da sola” e avverte: Italia a rischio stagnazione con la fine del PNRR
Il nuovo Rapporto di previsione del Centro Studi Confindustria (CSC) conferma l’efficacia delle politiche di incentivazione agli investimenti tecnologici: la Transizione 4.0, costata 20,3 miliardi di euro, ha restituito allo Stato quasi la metà della spesa sotto forma di gettito fiscale (+48,6%).
Ma lo scenario non è privo di rischi: con la fine del PNRR e l’aumento delle incertezze globali, l’Italia rischia la stagnazione. Secondo il CSC, senza le risorse europee il PIL nazionale si attesterebbe a -0,3%.
Confindustria chiede quindi un piano triennale di investimenti e un riequilibrio della pressione fiscale sulle imprese più produttive per sostenere la crescita e garantire continuità alla trasformazione digitale del Paese.
Incentivi di Transizione 4.0
Il rapporto di previsione autunno 2025 del CSC certifica che gli incentivi fiscali per gli investimenti in beni strumentali 4.0 si sono ripagati da soli per quasi metà della spesa.
Nel triennio 2020-2022, il credito d’imposta su beni materiali 4.0, costato 20,3 miliardi di euro, ha generato maggiori entrate fiscali pari al 48,6% delle risorse pubbliche impiegate.
Tuttavia, il successo della misura apre un nuovo fronte: la fine degli incentivi e del PNRR entro il 2025 rischia di rallentare gli investimenti e compromettere la ripresa.
Il CSC stima che il PNRR contribuisca per +0,8% alla crescita del PIL, evitando una contrazione dello -0,3%. Senza una strategia di continuità, l’Italia potrebbe perdere terreno nella trasformazione tecnologica e industriale.
Scenario macroeconomico: la spinta del PNRR e le incertezze globali
Il contesto macroeconomico rimane fragile. L’aumento dell’incertezza ha portato la propensione al risparmio delle famiglie al 9,3% nel primo trimestre 2025, frenando i consumi e gli investimenti.
La domanda interna mostra segnali moderati: i consumi familiari cresceranno solo dello 0,5% nel 2025 e dello 0,7% nel 2026.
Il commercio internazionale rallenta (+1,2% stimato nel 2025 contro +2,8% nel 2024), anche a causa della svalutazione del dollaro (-13,7% sull’euro) e delle politiche protezionistiche statunitensi.
Secondo Alessandro Fontana, capo economista del CSC, “l’incremento di inizio anno era dovuto a un anticipo delle esportazioni in vista dei dazi USA, ma nei prossimi mesi vedremo gli effetti negativi.”
Il rischio? Perdita di competitività e delocalizzazione verso gli Stati Uniti, attratti da incentivi fiscali e politiche industriali più aggressive.
Piano 4.0 efficace, ma l’Italia non è ancora ai livelli pre-crisi
Il CSC amplia l’analisi considerando l’intero pacchetto di incentivi agli investimenti in beni strumentali e intangibili.
Tra il 2016 e il 2024, la spesa pubblica complessiva è stata di 74,6 miliardi di euro, ripagata per il 23,5% dal recupero di gettito.
Gli incentivi 4.0 hanno avuto un impatto straordinario soprattutto sulle PMI:
- Microimprese: tasso di investimento più che raddoppiato
- Piccole imprese: +90% circa
- Medie imprese: +35-45%
- Grandi imprese: +20-25%
Nonostante l’accelerazione, il capitale netto italiano non ha ancora raggiunto i livelli pre-crisi del 2008. Il Paese resta in ritardo nell’adozione di tecnologie digitali e avanzate, con una propensione all’investimento inferiore rispetto ad altre economie europee.
Perdita di competitività e rischio delocalizzazione negli USA
Le nuove barriere commerciali americane e la svalutazione del dollaro hanno ridotto il vantaggio competitivo italiano: la tassazione effettiva delle merci è scesa dall’1,2% allo 0,6% tra gennaio e luglio 2025.
L’import statunitense dall’UE è calato dell’8,7% tra giugno e luglio, mentre l’export cinese verso l’Italia è aumentato del 24,5% nei primi otto mesi dell’anno, generando pressione sui prezzi interni.
Fontana avverte: “Gli Stati Uniti stanno attraendo capacità produttiva e investimenti industriali. Il rischio strutturale più grande è la delocalizzazione delle imprese italiane verso gli USA.”
Senza il PNRR il PIL italiano decrescerebbe dello 0,3%
Il CSC stima una crescita del PIL italiano dello 0,5% nel 2025, di cui +0,8% derivante direttamente dal PNRR.
In assenza del piano europeo, il PIL subirebbe quindi una contrazione del -0,3%.
Questo evidenzia la dipendenza dell’economia italiana dai fondi UE e la necessità di pianificare il “day after” con politiche espansive e strutturali per evitare un brusco stop agli investimenti pubblici e privati.
Il focus sul Mezzogiorno: la “discontinuità” positiva da non sprecare
Il rapporto dedica un focus al Mezzogiorno, dove si registra una ripresa significativa grazie a strumenti come ZES, credito d’imposta per investimenti e decontribuzione.
Queste misure hanno agito come stimolo economico e semplificazione amministrativa, contribuendo a una crescita in controtendenza rispetto al passato.
Fontana sottolinea la necessità di mantenere la continuità di queste politiche, per evitare che la ripresa del Sud si riveli solo temporanea.
La ricetta di Confindustria: piano triennale per gli investimenti e riequilibrio fiscale
Per evitare la stagnazione e rilanciare la produttività, Confindustria propone due direttrici d’intervento:
- Piano triennale per gli investimenti
Dare stabilità e visione alle imprese è essenziale per sostenere la crescita. Lo stock di capitale in macchinari resta ancora inferiore ai livelli del 2007, eppure gli incentivi si sono dimostrati sostenibili: i 20 miliardi investiti nel triennio 2020-2022 hanno già restituito il 48,6% in maggiori entrate fiscali. - Riequilibrio della pressione fiscale
Solo il 5,5% delle imprese italiane (circa 256.000 aziende) genera oltre il 70% del valore aggiunto nazionale e versa più dell’80% del gettito fiscale.
Alleggerire la pressione su questo “nocciolo duro” di imprese ad alta produttività non è solo una misura di equità, ma una strategia per rafforzare la competitività del sistema economico nel suo complesso.
Prossime sfide
Il Rapporto Confindustria 2025 offre un messaggio chiaro: Transizione 4.0 ha funzionato, ma la sfida ora è garantire continuità e stabilità alle politiche industriali italiane.
Senza un piano strutturale post-PNRR, l’Italia rischia di perdere slancio e tornare alla stagnazione.
Solo con investimenti a lungo termine, politiche fiscali eque e una visione industriale moderna sarà possibile mantenere la traiettoria di crescita e consolidare la posizione del Paese nel panorama economico globale.
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